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Pierpaolo Piu, presidente, Castiadas
«Per me il campionato è finito, qualsiasi decisione sulla classifica verrà presa non mi interessa»

Il Castiadas dice stop, Piu: «Se si riprende noi non ci saremo. Altre le priorità: la salute, la ripresa economica e il lavoro. Il calcio verrà dopo»

Si è sempre detto che l'Italia mangi pane e calcio e ora, nel momento in cui si stima un crollo del Pil del 60-70% nel mese di blocco (una perdita tra 85 e 100 miliardi in trenta di lockdown) e c'è realmente chi non riesce a procurarsi il pane, il calcio è uno degli argomenti più importanti nella lista giornaliere delle notizie. I fari sono puntati sulla serie A - molto meno sugli altri due campionati professionistici - che però rappresentano l'1% del sistema calcistico italiano mentre il cuore pulsante della sfera tricolore è formato dalle società dilettantistiche (75%) e del Settore Giovanile e Scolastico (24%). 

Il calcio in Sardegna è rappresentato da Cagliari (serie A), Olbia (serie C) e poi c'è tutto l'esercito dei dilettanti. Che attende le decisioni su come, quando e in che tempi terminare la stagione. Ma c'è chi la stagione l'ha già archiviata, come Pierpaolo Piu, presidente del Castiadas secondo in classifica nel torneo di Eccellenza (vedi qui) e imprenditore nel settore turistico: «Il calcio avrebbe dovuto già decidere. Trovo vergognoso e ridicolo, di fronte ad un bollettino di 800 morti al giorno, che in Italia si parli ancora di come si debba terminare la stagione nel calcio. Dovremmo pensare prima a come uscirne tutti sani, rispettando le regole e sperando che riparta la macchina economica per non piangere negli anni a venire e cadere nella disperazione totale. Qui c'è chi non riesce a legare il pranzo con la cena».

 

In cosa stanno sbagliando i vertici del calcio? 

«Sono intanto schifato che l'Aic stia discutendo sulla sospensione o meno degli stipendi ai calciatori. Le aziende, di ogni ordine e grado, stanno rinunciando ad un qualcosa, che va dal molto al moltissimo, e nel calcio non si vuole a rinunciare ad una qualcosina. Poi la serie A è un solo campionato, ha mezzi economici e strutture per potersi isolare, seguire determinati protocolli sanitari e finire la stagione fino a luglio e agosto. Ma questa ricerca di soluzioni per il massimo campionato di calcio ci può stare, il problema è che ci si illude su una ripresa anche per i campionati dilettantistici quando dopo questa pandemia sarà tutto diverso. Il calcio non morirà, non è finito ma si è solo fermato perché in questo momento la priorità è la salute»

Il Castiadas ha pensato di dare una sua visione, un contributo alla soluzione sulla stagione in corso?

«Nessuno di noi è stato interpellato, credo che i vari comitati regionali aspettino che una decisione arrivi dalla Lega Nazionale Dilettanti. In ogni caso, il calcio in generale e il campionato di Eccellenza cui faceva parte il Castiadas, in questo momento, non sono nei miei pensieri. Rimango allibito che ci si aggrovigli su cosa fare o non fare per la stagione calcistica. Ma che mettano fine a tutto e decidano poi quello che vogliono dei campionati: annullare tutto, promossi tutti, retrocessi tutti? Non mi interessa. Io in questo momento sto pensando alle 400 persone che non potrò assumere e che rischiano di non prendere stipendio e disoccupazione. Seguo anche un centro sportivo, ma come posso riaprire? Quale giudice lo permetterebbe? E se immagino come sarà per la cucina nella ristorazione, ai buffet, alla merce che arriva, alla distanza tra gli ombrelloni e ai lettini che poi andranno disinfettati ogni volta che uno li lascia. Pensare al calcio mi viene molto difficile, questo è un dramma sociale per le vittime che stiamo registrando e poi è un dramma dal punto di vista economico»

Ma se venisse decisa una prosecuzione della stagione?

«Ma come si fa a pensare ora di proseguire la stagione senza toccare prima il tema di come conciliare la ripresa dell'attività agonistica con la tutela dei giocatori, dei tecnici, dei dirigenti e di tutto l'entourage di una società dilettantistica che, prima di tutto, è composta da cittadini che sono lavoratori, disoccupati, studenti, imprenditori. Io ho seri dubbi di come gestire la salute dei dipendenti nel mio lavoro figuriamoci pensare ai possibili assembramenti negli spogliatoi e negli allenamenti prima di quelli creati da una gara ufficiale. O sono cambiate nel frattempo le regole? Si dovranno o no rifare tutte le idoneità agli atleti e riprendere una preparazione? Ci vorrebbe tanto tempo, e non si stanno ancora toccando i temi della responsabilità»

Ad esempio?

«Sulle assicurazioni ho sentito ben poco. E se qualcuno viene contagiato al campo chi ne risponde? La vedo molto in salita, a meno che improvvisamente sparisca il virus nel nulla ma, visto quello che accade ora in Cina, ci rendiamo perfettamente conto che il problema del contagio di ritorno è elevato. I campi di calcio, inoltre, sono proprietà dei comuni e ora i sindaci ne vietano l'ingresso. Se ora non si va manco a scuola come faranno ad autorizzare una ripresa se già prima, e per problemi molto inferiori, vietavano l'ingresso a più di 100 tifosi?»

Ma se, come di solito accade, la decisione arriverà dall'alto per una stagione comunque da chiudere che farà il Castiadas?

«Io di sicuro non manderò nessun giocatore in campo, facciano quello che vogliono e che giochino gli altri; vuol dire che continueranno senza di noi. Il calcio è fatto da imprenditori che ci mettono i soldi, piccole sponsorizzazioni e tanta passione, come ogni sport si pratica in sicurezza e con la mente sgombra. C'è competizione per raggiungere un risultato ma il calcio è gioco e divertimento. Quando la vita riprenderà, il calcio tornerà e allora ci divertiremo di nuovo tutti insieme»

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2019/2020