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Promozione
Bibò in campo 9 mesi dopo la frattura alla gamba

Boi, inferno e ritorno: «Che emozione rigiocare col Cardedu. Scusare Vergari? Ora no»

2 maggio 2010: una data che resterà ben impressa nella mente dei tifosi del Cardedu e non solo. Piuttosto, è una data che per sempre accompagnerà le giornate di Francesco Boi, per tutti Bibò, attaccante trentenne del Cardedu. Quel giorno, Cardedu si prepara a vivere uno storico evento: la prima sfida play-off per l’accesso al campionato di Promozione. L’avversario è l’Orione ’96 di Selargius, classificatosi al secondo posto nel girone “B” (al pari del Cardedu che ha disputato il girone “A”). Alle 15, stadio “San Paolo”, gremito in ogni ordine di posto, e squadre in campo agli ordini dell’arbitro Delpiano di Nuoro. Rituali strette di mano e scambio di convenevoli tra i due capitani, Francesco Boi, 30 anni del Cardedu e Andrea Vergari, 34 anni dell’Orione 96. Tutto sembra procedere per il meglio, ma dopo appena 35 secondi di gioco accade qualcosa che scalfirà le menti e i cuori dei protagonisti. Boi protegge la palla lungo la linea laterale in prossimità delle panchine, proprio sotto gli occhi degli spettatori, Vergari, roccioso centrale, esce dalla difesa e con un’entrata da tergo a martello sulla gamba sinistra, lo manda al tappetto. In un primo momento, il capitano del Cardedu tenta di rialzarsi, poi il crack. L’urlo di dolore, entrambe le mani che reggono la parte dolente. "Bibò si è rotto, Bibò si è rotto", urlano i compagni e immediatamente gli vengono apportati i primi soccorsi. L’arbitro Delpiano estrae il rosso ai danni del giocatore cagliaritano che, sconsolato, prende la via degli spogliatoi. L’ambulanza fa il suo ingresso in campo. Bibò (sostituito da Federico Usai) viene adagiato sulla lettiga e trasportato in tutta fretta all’ospedale di Lanusei. La diagnosi è impietosa: frattura scomposta di tibia e perone. Addio serenità, addio play-off, addio sogni di gloria inseguiti fin da bambino. Intanto dagli spalti, si alzano i primi cori al suo indirizzo. La partita riprende dopo 25’ di sospensione e si chiude al 90’ senza reti. Per decretarne il vincitore, c’è bisogno di ben sedici calci di rigore col dolce epilogo per il Cardedu, grazie alla decisiva esecuzione di Giancarlo Fois, ma la squadra ha poca voglia di esultare e si racchiude immediatamente nello spogliatoio. No Bibò, no party. Il clan biancorosso raggiunge in serata il capitano ricoverato e a lui dedica la vittoria ottenuta sul campo. Bibò piange: è un mix tra dolore ed emozione. La gamba è in trazione e così resterà per i successivi quindici giorni, fino all’intervento che ricompone la frattura. Seguiranno mesi di intensa riabilitazione, in cui lo sfortunato numero 9 del Cardedu medita addirittura l’abbandono dell’attività agonistica, ma tanta è la passione, che fa il suo nuovo esordio il 6 febbraio 2011, durante la gara di Cagliari con il La Palma, subentrando a 15’ dalla fine al compagno Erik Scudu.

 

Francesco, cos’hai provato nel momento che hai rimesso piede in campo a Cagliari?

«È stata un’emozione fortissima, anche se non nego che ero parecchio disorientato e mi sentivo circondato dalla paura di ricevere qualche calcio, ma so che la sicurezza potrò acquisirla solo col tempo»

Quanto è stato difficile rientrare in condizione?

«Tantissimo. Ho affrontato un lavoro durissimo, che solo chi ha vissuto questo calvario può capire. Ho iniziato la preparazione sul campo a fine settembre, con un entusiasmo assai fiacco. Venivo da un’estate rinchiuso in casa, per cui il mio umore non poteva essere dei migliori. Con l’aiuto del fisioterapista Gianluca Murru ho lentamente ritrovato una condizione accettabile. Non auguro a nessuno di vivere un incubo come quello da cui sto uscendo solo nell’ultimo periodo»

Qual è il tuo prossimo obiettivo?

«Non ho obiettivi particolari, se non quello di recuperare bene per la prossima stagione e poi chissà, speriamo che già in questo campionato possa riassaporare l’emozione di segnare un gol»

Torniamo indietro al 2 maggio 2010, raccontaci quei terribili momenti

«Ricordo di aver sentito un crack subito dopo aver ricevuto la botta. In un primo momento non ho avvertito dolore, però, mentre mi giravo, nel tentativo di rialzarmi, ho lamentato un dolore terrificante. Ciò non mi permise di effettuare alcun movimento, anche perché appena sotto il ginocchio avvertivo la sensazione di ossa spezzate e i dolori si facevano sempre più lancinanti»

Pensi che Andrea Vergari abbia commesso un fallo volontario nei tuoi confronti?

«Nessuno me lo toglie dalla mente. Dopo 35 secondi di gioco, entrare in quel modo sulla linea di centrocampo mentre proteggevo il pallone, credo sia eccessivo. Certo, gli interventi duri nel calcio esistono, ma quello è stato oltremodo cattivo e del tutto inutile. Per me fu un gesto assolutamente volontario»

Il tuo avversario ha provato in qualche modo a chiederti scusa?

«Da quanto mi è stato riferito, alcuni dirigenti dell’Orione 96 quella sera sarebbero voluti venire in ospedale, ma non gli è stato permesso, perché troppo presto e per me sarebbe stata una visita poco gradita. Da allora non ho più voluto sentire nessuno di loro, tantomeno Andrea Vergari»

Pensi di poter accettare le sue scuse in un prossimo futuro?

«Per ora non ci penso, ma non posso escludere questa ipotesi. Vedremo più là, quando magari il ricordo di questo episodio sarà più lontano. È stato senza dubbio un periodo che mi ha sconvolto l’esistenza. Fortunatamente ero in possesso di un contratto lavorativo a tempo indeterminato, altrimenti sarebbero stati danni su danni»

In conseguenza a quanto accaduto, Vergari ha dato l’addio al calcio. Come giudichi la sua decisione?

«Posso capire la sua situazione, non sarà stato facile nemmeno per lui reagire a quel brutto momento. Certo, un po’ mi dispiace, ma la sensazione più forte resta quella dell’indifferenza. Non voglio apparire cattivo e crudele, ma subire un infortunio simile è veramente atroce, per cui ti lascia indelebilmente il segno»

Come sono stati i giorni immediatamente successivi all’infortunio?

«I primi giorni sono stati un autentico calvario, sul mio letto d’ospedale piangevo giorno e notte. E tra una lacrima e l’altra pensavo di smettere con il calcio perché ero veramente demoralizzato per quanto accaduto. Non avrei mai pensato che potesse succedermi un qualcosa di così grave e più che altro che potessero avvenire falli così violenti. Fortunatamente ricevevo tantissime visite quotidianamente e questo aspetto risultava per me fondamentale»

Senti di ringraziare qualcuno in particolare per esserti stato accanto in quel periodo?

«Sì, diverse persone. Innanzitutto, la mia famiglia che mi è sempre stata accanto, incoraggiandomi tantissimo (il padre, Antonio, è presidente del Cardedu, ndr) poi tutti gli amici che in un modo o nell’altro mi facevano sentire il loro sostegno. Sono venuti a trovarmi anche diversi ragazzini delle giovanili e quelli sono momenti davvero commoventi. Sento inoltre di ringraziare il mio compagno di squadra Antonello Lai, con cui erano frequenti le conversazioni telefoniche. Avendo subito anch’egli la frattura della tibia, poteva capire il mio stato d’animo e perciò trovava sempre le giuste parole di incoraggiamento. Un ringraziamento particolare va anche all’allenatore Francesco Loi (nel suo passato da giocatore ci fu un incidente analogo, ndr) che ogni giorno, tramite i medici, si sincerava delle mie condizioni e in ultimo, ma non in ordine di importanza, un grazie va al fisioterapista della squadra Gianluca Murru che fin dall’inizio e per tutto il periodo di riabilitazione, è stato eccezionale»

Su Youtube è presente il video del tuo infortunio, quante volte l’hai guardato?

«Una sola volta e per giunta la sera dell’accaduto. Da allora non ho più avuto il coraggio di rivederlo, già solo il pensiero di farlo mi fa salire l’angoscia»

I tuoi compagni sono stati eccezionali sul campo, conquistando quella promozione per la quale anche tu hai contribuito a suon di gol. Riuscivi a seguire il cammino dei play-off, nonostante la degenze ospedaliera?

«Seguivo le partite tramite la radio (sulle frequenze di Radio Stella di Tortolì, ndr) e per l’intera durata indossavo la mia maglia numero 9 come gesto scaramantico. I miei compagni legavano alla panchina il calzettone che indossavo sulla gamba sinistra al momento dell’infortunio. Beh, devo dire che quei riti propiziatori hanno davvero portato fortuna. Dopo una settimana dall’intervento, armato di stampelle, ho voluto seguire i miei compagni nell’ultimo turno dei play-off a Borore (l’1-0 firmato Antonello Lai consentì al Cardedu di salire per la prima volta in Promozione, ndr). Peccato, però, aver perso la possibilità di partecipare serenamente ai festeggiamenti»

 

Roberto Secci

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2010/2011
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Sardegna
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