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Walter Zenga, allenatore, Cagliari
«Ho iniziato a fare l'allenatore grazie a Eriksson»

Cagliari, Zenga scalpita da Asseminello: «Il virus cambierà la nostra identità, rientrare in campo vuol dire tornare a vivere, sono disposto a qualsiasi sacrificio»

Il tecnico del Cagliari Walter Zenga a ruota libera nella Nuova intervista "a distanza" con Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport che ha messo online il video. L'allenatore rossoblù spiega ricorda che di essere «ad Asseminello dall'8 marzo, fino a una settimana fa eravamo io, Vio, il direttore Carli e Max Canzi (il vice, ndr), poi loro due sono andati a casa e siamo rimasti io e Gianni Vio. Possiamo fare le palle inattive, uno contro uno a tutto campo. Scherzo ovviamente, perché il momento è serio».

 

Il ritorno in campo. «Ho fatto una amichevole col Cagliari, e l'ho vinta 1-0. Ho una voglia pazza di tornare a giocare come tutti quelli che hanno una attività o un lavoro, perché vuole dire tornare a vivere e che la pandemia va verso la fine. Mia nonna mi ha insegnato un cosa: un ditale pieno o un bicchiere pieno sono pieni entrambi, ognuno di noi ha i propri problemi, tutti rispettabili. Io che vivo di calcio è ovvio che mi piacerebbe tornare a giocare e sono disposto a fare qualsiasi sacrificio, non mi interessano le vacanze o giocare a qualsiasi orario e ogni tre giorni. Sono disposto a tutto per il movimento calcistico che non è rappresentato solo da calciatori come Ronaldo o allenatori come Mourinho e Conte, un club come il Cagliari ha circa 300 persone che lavorano per il calcio e sono ferme, se poi lo moltiplichiamo per ogni società...».

 

Vita diversa. «La nostra è una vita molto particolare, dovremo convivere con delle regole per le quali non siamo abituati. La nostra identità è quella di arrivare al bar, entrare, andare al bancone e dare baci, abbracci e pacche sulle spalle. Chissà per quanto tempo ciò non si avrà più. Da questo deduciamo come cambieranno le altre cose e che ci aspetta una vita differente anche all'inizio nel calcio. Ci sono da fare dei sacrifici, qualcuno mi dice che, se riniziamo adesso, poi ci vuole un mese di pausa per la ripresa. Ma quale pausa? L'abbiamo già fatta e fin troppo lunga».

 

Esempio Eriksson. «Ho iniziato a fare l'allenatore prendendo da tutti quelli che ho avuto ma inerenti ai loro comportamenti, non dal punto di vista tattico. Radice, che mi ha lanciato in serie A, nel momento difficile della squadra si metteva con noi in fondo al pullman di rientro dalla trasferta, ci parlava, faceva gruppo e cercava di capire il problema per trovare una soluzione. Il Trap dava molta importanza ai rapporti umani coi giocatori e creava molta empatia; Vicini lo stesso e Bagnoli era straordinario. Altri, invece, alle prime difficoltà avevano bisogno del supporto dei giocatori stessi. A fine carriera quello che mi ha indirizzato a fare l'allenatore è stato Eriksson, che ho avuto negli ultimi due anni alla Samp. Al secondo anno, quando mi ero rotto i legamenti del ginocchio, ho fatto sei mesi fuori stando di fianco a lui, guardando le cose da un punto di vista differente. Nel rapporto gestionale, sia della vittoria che della sconfitta, aveva un atteggiamento verso la squadra che dava serenità e metteva tutti in condizioni di dare il meglio di sé».

 

Tecnico multilingue. «Con Nandez, Oliva e Ramirez parlo un po' in spagnolo, poi c'è Ionita che è moldavo ma parla benissimo il rumeno e gli do qualche indicazione. Con Klavan, Walukiewic e Olsen parlo in inglese, mi sembra normalissimo. Ma la maggior parte del dialogo è in italiano. Con Radja? Parliamo la stessa lingua».

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2019/2020