Arzachena, l'ex capitano racconta la sua verità
Emiliano Melis: «Ci ho messo la faccia e il cuore. Meritavo più rispetto»
Centoventi giorni. Tanto è durato il rapporto di Emiliano Melis ('79) con l'Arzachena del patron Tonino Ragnedda. L'attaccante ex Cagliari, insieme con Pierluigi Porcu, Luca Di Prisco e Giuseppe Nuvoli, ha lasciato la Gallura all'indomani della sconfitta in casa nel derby contro il "suo" Selargius. Una decisione societaria figlia di un dietrofront susseguente alla valutata consapevolezza di non poter far fronte agli impegni presi. Una mossa che ha lasciato di stucco, considerati i proclami d'inizio stagione. «Durante la mia permanenza ad Arzachena ho visto il Presidente Ragnedda pochissime volte - esordisce Emiliano - ma non avrei mai creduto a un epilogo così poco serio».
Emiliano ha gli occhi di un bambino. Trasparenti. Quelli che a 6 anni seguivano il padre Eugenio, un passato da portiere dilettante. E da dietro la porta del Pula, i palloni, che per due motivi, sperava non andassero in rete mai. «Certo che sono amareggiato - racconta ignorando l'infuocato telefono, che squilla di continuo - Ho accettato la proposta di Virgilio Perra, non senza la consapevolezza di dover lasciare, andando via da Selargius, un pezzo del mio cuore. Mi sembrava interessante scommettere ancora una volta su me stesso. Sacrificando gli affetti, la vita familiare. Ma il calcio è la mia vita»
Emiliano ma cosa è andato storto?
«Stavamo ingranando. La squadra ha sofferto degli infortuni nei suoi uomini cardine. Ma eravamo li. A giocarcela con tutti, in campionato e in coppa Italia, competizione importantissima perché possibile porta verso la Lega-Pro. Da questa non siamo usciti per demerito di noi giocatori. Io gioco a calcio, non devo stare attento ai tecnicismi dei regolamenti. Altri avrebbero dovuto vigilare, e non solo su quello»
A cosa ti riferisci di preciso?
«Sono stato apprezzato per le mie doti, umane e professionali. Per l'impegno e la serietà. Io l'ho garantita. Altri no. A noi giocatori si richiede un impegno di sei giorni a settimana. la serie D è questo. Ci fanno fare i professionisti e diventa un lavoro, ma la dirigenza non è stata in grado di supportarci a dovere. Basta pensare che, al contrario di ciò che mi era stato garantito, ho dovuto vivere in albergo per tutto questo tempo. La casa mi è stata data, solo a metà novembre. Una follia»
Quindi avete vissuto tutti insieme, come in un ritiro punitivo?
«Le punizioni, son ben altra cosa, ma di certo questa situazione se da una parte è servita a cementare il gruppo, dall'altra non ha fatto che aumentare il senso di precarietà e la pressione che dovessimo assolutamente vincere. E subito. Quando parlo di serietà venuta meno, di vigilare, dare risposte, intendo aver la capacità di aprire un dialogo, un confronto. Quello che non c'è stato neanche per ragionare su un ipotetico ridimensionamento dei piani societari e, perché no, degli impegni economici assunti. Se il venir meno di qualche sponsor ha portato a ciò, io e i miei compagni, avremmo comunque potuto ribadire di aver sposato il progetto di programma. Ma, perlomeno chiedetecelo»
Mi sembra di capire che valuti l'accaduto come una vigliaccata?
«Assolutamente sì. Ho messo la mia vita nelle mani di una guardia giurata in aspettativa, il signor Antonello Zucchi, che se crede di doversi creare un'alternativa di lavoro, interpretando così la professionalità di direttore sportivo, che ritorni al suo lavoro. Magari lo sa fare meglio. Non ci si improvvisa con pressapochismi e falsità. La franchezza è sempre la condotta migliore. Io posso non aver fatto i gol che si aspettavano, ma, prova ne sia il fatto che il tecnico non mi ha mai sostituito, ci ho messo la faccia e il cuore»
Il tuo cellulare continua a squillare. Emiliano perché non rispondi?
«Fosse per quant'è la voglia che ho di giocare, andrei ovunque. Ma devo a me stesso e alla mia famiglia una ponderata valutazione. Fredda e ragionata. Posso dare ancora tantissimo. Non voglio prendere decisioni di "pancia". Ho bisogno di metabolizzare questa forte delusione. Deciderò presto a chi dedicare il mio prezioso tempo, il mio entusiasmo»
Cosa ti mancherà di Arzachena?
«I miei compagni. Il calcio, alla fine è questo. L'amicizia che rimane. Perenne e indelebile. Sono sicuro che l'Arzachena se prima era una Ferrari ora e una Maserati. E le Maserati corrono. Auguro ai ragazzi di farlo fino alla fine. Il traguardo è li»
E Virgilio Perra?
«Ho seguito il mister, per il reciproco sentimento di stima, che ci ha da subito legati. Con lui ho scoperto nuove potenzialità del mio giocare. Pensa, fra i dilettanti, si puo' crescere ancora. Bravo lui ad avermi aiutato a migliorare ulteriormente. Nella sua situazione, a caldo, ho però pensato avesse potuto dimettersi, contestualmente al nostro taglio. Non sono ipocrita, non gliel'ho mandato a dire. E' altresì vero che lui ha già vissuto una situazione analoga nel Selargius, in Eccellenza qualche hanno fa. Ridimensionarono la rosa ma conquistò comunque la serie D. Non mollerebbe mai. In bocca al lupo Virgilio». Antonello Lai
La foto di copertina è di Paolo Fiori