Il mister: «Giusto dividersi, per me 2 anni belli»
Murgia, dalla salvezza alla retrocessione: «La Monreale non aveva più la fame dell'anno prima»
La retrocessione brucia perché coinvolge tutto un ambiente, dai tifosi e la società ai giocatori e al tecnico. Nel caso della Monreale brucia ancor di più perché avvenuta al termine di uno spareggio contro il Gemini Pirri e per giunta ai rigori. Ma, fortunatamente, il calcio offre sempre una possibilità di riscatto. San Gavino lo farà ripartendo dalla Prima categoria, il tecnico Davide Murgia lo farà altrove, non appena troverà una nuova squadra. «Col presidente Porceddu abbiamo ritenuto opportuno chiudere la collaborazione – spiega Murgia – io avevo già deciso che sarei andato via anche se fossimo rimasti in Promozione. Credo che comunque neanche da parte della società ci fosse la volontà di riconfermarmi, i segnali erano quelli. In ogni caso per me si è trattata di una splendida esperienza di due anni che mi ha permesso di crescere tantissimo sia dal punto di vista tecnico che ambientale»
Aldilà dello spareggio, una gara secca che sfugge ad ogni pronostico, perché la Monreale è retrocessa?
«Evidentemente abbiamo dimostrato di essere peggiori rispetto a chi si è poi salvato. D’altronde nel girone A sono retrocesse 5 squadre (il Carloforte potrebbe essere ripescato, ndr) comprese le due che hanno fatto i playout perché probabilmente il girone Nord era più forte per ciò che concerne le squadre di bassa classifica. Per noi, comunque, in questo risultato negativo hanno inciso i tre fattori che compongono una squadra di calcio: la parte dirigenziale, quella dei tecnici e gli atleti»
Quanto può essere stata determinante la tua assenza dalla quinta giornata d’andata fino alla seconda di ritorno?
«Mi piace dire che sono stato mandato in ferie per due mesi e mezzo. Sono stato esonerato alla vigilia dell’ultima partita che io ritenevo critica, quella col Quartu 2000, squadra che insieme con Porto Corallo e Pula hanno fatto un campionato a parte; quando sono rientrato abbiamo affrontato, sotto la mia guida, le stesse squadre che poi hanno lottato per vincere il campionato. Con me in panchina abbiamo sbagliato fondamentalmente una partita sotto l’aspetto mentale ed è quella contro il Villasimius, abbiamo perso in casa in modo meritato e quella sconfitta ha poi deciso la nostra retrocessione diretta»
Ci sono stati altri aspetti che possono aver inciso in questa annata negativa?
«Da gennaio ad aprile non avevamo più il campo e siamo stati costretti a giocare 9 partite di fila fuori casa, c’è da dire che in quei due mesi e mezzo nei quali ero assente la squadra ha perso la sua identità e c’è voluto del tempo per riacquisirla quando poi abbiamo rimesso la testa nel campionato siamo stati penalizzati dal fatto che negli ultimi 20’ avevamo grosse difficoltà a reggere il campo; se tu non metti fieno in cascina in inverno con l’arrivo del caldo lo paghi. È una critica che non vuol essere fatta contro il mio predecessore ma è un dato di fatto, abbiamo perso sette partite negli ultimi 10’»
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L’anno prima una salvezza diretta brillante, quest’anno una retrocessione senza passare dai playout, come mai questa differenza netta?
«L’anno scorso avevamo fame, ci eravamo messi tutti in discussione. Quest’anno, fino all’ultimo rigore dello spareggio col Pirri, l’ambiente pensava di poterla scampare; ciò vuol dire non avere spirito critico a livello individuale»
Ma in questi casi non deve intervenire anche l’allenatore?
«Io questo l’ho rimarcato e fatto presente, evidentemente non sono stato così incisivo e mi assumo la parte di responsabilità che mi appartiene perché sono stato allenatore di questa squadra per 20 partite»
E il futuro di Davide Murgia?
«Il proverbio dice: “Si chiude una porta e si apre un portone”. Se c’è una squadra con un progetto che mi affascina darò il 110%, i giocatori con me non perdono tempo negli allenamenti se invece non ci fosse nulla fortunatamente non vivo di calcio, mi piace, sono appassionato ma ho anche altri interessi»
Un presidente quando sceglie un allenatore deve considerare più il fatto che sia retrocesso o che, poprio per questo, abbia una voglia di riscatto maggiore
«A me piace essere giudicato per il lavoro che faccio, ovvio che gli altri guardino ai risultati ma questi a volte non sono figli del lavoro. Io rimprovero alla società solo il fatto che quando stavamo chiudendo il cerchio mi hanno mandato in ferie senza considerare che avevamo perso due esterni molto forti come Ennas e Lisci e che si era infortunato Deidda, il nostro capitano e riferimento dello spogliatoio, grande uomo e grande giocatore»
San Gavino, che ha conosciuto per diversi anni anche l’Eccellenza, vivrà male il ritorno nell’anonimato del Prima categoria?
«A questo punto non è più un mio problema. Avranno di sicuro uno spirito di rivalsa, non è facile riconquistare una categoria, bisogna avere tanta forza d’animo e risorse economiche che intorno al calcio sardo vedo sempre meno. Il problema è adattarsi alla nuova categoria, la Ferrini quest’anno ha riguadagnato la Promozione dopo sei campionati di Prima nei quali ha perso tre spareggi playoff. L’Iglesias non riesce a tornare su, la Nuorese faticò parecchio a suo tempo»
Fabio Salis