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Stefano Udassi, allenatore, Latte Dolce
«Guai a sottovalutare il virus in Italia, in Sardegna e a Sassari»

Latte Dolce, Udassi: «Ora ci vuole senso civico, il desiderio di tornare in campo è legittimo ma stabilire quando è molto difficile»

Tutti in casa col fiato sospeso. Tutti a rispettare le misure di distanziamento sociale, anche per chi invece lavora nelle attività di prima necessità, con la speranza di uscire quanto prima dal tunnel. Il calcio si è fermato da inizio marzo, attende le decisioni dai vertici e, in questa attesa, cerca di lavorare in casa e non fare proclami. Stefano Udassi, allenatore del Latte Dolce quarto in classifica nel girone G di serie D, esplicita il suo pensiero dalla sua Sassari, tra le città più colpite della Sardegna dal coronavirus.

 

Regole di calcio, regole di vita. «Siamo uomini di calcio. E siamo uomini di campo. Abbiamo fatto della nostra passione un lavoro, lo facciamo provando sempre a dare il massimo per raggiungere il migliore risultato possibile. Una regola che vale per tutti, che ci siamo ripetuti tante volte durante l'intera stagione perché quello era il nostro principale obiettivo. Obiettivo che dal rettangolo verde si sposta alla vita: in questo preciso momento storico occorre dare tutti il massimo per ottenere il migliore risultato possibile. A costo di fare sacrifici, tutti. A costo di rinunciare alla nostra quotidianità, cosa che per chi è abituato ad inseguire un pallone e calciarlo a rete è davvero tosta».

 

Smart working. «Io sono a casa, con mia moglie e le mie figlie. Il mio staff è a casa, così come tutti i ragazzi e i nostri dirigenti. Si lavora anche in queste condizioni. I ragazzi seguono piani di lavoro personalizzati, programmati e preparati per loro dallo staff tecnico. Io leggo mi aggiorno e rivedo i video dei match disputati. Proviamo a farci trovare pronti, anche se allenarci, sentire la piacevole tensione che precede un match e poterci proiettare in prospettiva e con certezza su quel che poteva essere lo sviluppo del nostro campionato è qualcosa che ci manca».

 

La partita contro il virus. «Non si discute, ora bisogna pensare al bene comune e all'interesse dell'intera comunità. Tutti dobbiamo pensarci, perché è chiaro che è impensabile che chi gioca in attacco si disinteresse totalmente della fase difensiva. Una squadra segue gli schemi e li applica, nel suo insieme. Altrimenti si rischia lo squilibrio, si rischia di prendere gol e questo noi nella partita contro il virus non possiamo permettercelo. Lo sport è una conseguenza di quel che accadrà, della fine di un'emergenza che spero arrivi presto, di volontà comuni da esprimere e trasformare in proposte concrete e aiuti necessari».

 

Quando ripartire e cosa decidere. «Si stoppano le grandi manifestazioni, si ragiona sul come ripartire. Il quando è ancora una variabile troppo difficile da stabilire, ed è chiaro che chi dovrà prendere le decisioni avrà di fronte un compito davvero difficile. E nel decidere, probabilmente, qualcuno resterà scontento. Io provo sempre ad essere positivo, voglio esserlo. La preoccupazione c'è, ovviamente. La situazione in Italia, in Sardegna e nella nostra città è in evoluzione: guai a sottovalutarla come all'inizio in tanti abbiamo fatto. Mi ci metto anche io, sembrava impossibile e quasi paradossale appena un mese fa. La priorità è stoppare il diffondersi del coronavirus, poi sarà tempo di decidere su più tavoli. Io sono un uomo di calcio, non ho gli strumenti per valutare certe cose e mi limito ad esprimere opinioni da cittadino e uomo di sport. Non dovremo farci trovare impreparati, sotto ogni punto di vista».

 

Il desiderio legittimo. «Noi abbiamo una società solida e onesta alle spalle, e ci siamo dimostrati responsabili e reattivi agli eventi sin dal primo vero allarme rosso. Guardo al mese di maggio, e spero di poter in qualche modo tornare in campo. È un desiderio legittimo, abbiamo lavorato tutti sin dalla scorsa estate per dare corso a una stagione che purtroppo si è inceppata nel perverso meccanismo della pandemia. Ci spero, con fiducia e aspetto le decisioni a riguardo. Come me molti, con garbo e senza esternazioni in questo momento fuori luogo. Ma quando sento uomini di calcio, direttori sportivi di società che già ora abbassano la serranda perché facendo un mero conto da classifica la loro stagione non ha più niente da dare e i loro 4 brasiliani e 2 argentini sono, pur giustamente, tornati a casa, dico che non è il momento di approfittare delle situazioni».

 

Niente panico e senso civico. «Il pallone è fermo ma solo a bocce ferme, mi auguro, si potrà valutare e decidere quel che sarà. Non ho mai cercato polemiche, ho sempre parlato chiaro, soffro questa situazione e non posso nasconderlo ma mi devo adeguare e come me tutti. Non è il momento di cercare responsabilità, posto che ci sarà tempo per farlo. C'è chi vive con passione di calcio e chi vive di calcio, soprattutto nelle categorie cosiddette minori. Ora importa vivere e sopravvivere, senza farsi prendere dal panico ma prendendo seriamente tutto quel che sta accadendo. Non entro nel merito delle questioni. Mettiamo in campo il nostro senso civico. Mettiamocela tutta tutti, però. Perché la partita si vince con gli undici in campo, l'apporto della panchina, il supporto della società, i tifosi sugli spalti, le aziende sponsor e la voglia di tagliare traguardi importanti».

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2019/2020