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«Lo Spezia doveva mandarmi in C ma in ritiro convinsi Di Carlo»

Mastinu, i sogni si avverano: «Quattro anni fa giocavo ancora in Serie D, mi ero dato come limite temporale i 25 anni per diventare professionista»

Se guardi alle qualità di Giuseppe Mastinu non ti stupisci se l'anno prossimo debutterà in serie A con la maglia dello Spezia. Eppure, nella sua carriera di dilettante prima e professionista poi sono stati diversi i momenti in cui il talento innato del 29enne sassarese poteva essere spento per le aspettative deluse, la miopia di chi deve giudicarti e gli infortuni. Ma la tenacia e la voglia di arrivare per l'attaccante cresciuto nell'Arzachena, maturato a Budoni (dopo esser stato scartato dalla Torres) ed esploso all'Olbia, è stata premiata con il salto nel professionismo allo Spezia e la fresca promozione in A ottenuta vincendo i playoff.

 

Mastinu (nella foto Spezia Calcio) si racconta nell'intervista fatta da Gianluca Di Marzio ricordando come è iniziata questa favola: «Quattro anni fa giocavo ancora in Serie D e, quando giochi a livello dilettantistico, è dura mantenerti, anche soprattutto a livello economico. Mi ero dato come limite temporale i 25 anni per diventare professionista, ma già avevo iniziato a fare corsi per diventare barman tanto che ho avviato un’attività – ancora oggi esistente – nella mia Sardegna». E ringrazia il suo procuratore, Michele Buongiorno: «Ha sempre azzeccato ogni previsione, per me è qualcosa in più di un agente. La sua figura è stata ed è ancora oggi fondamentale per la mia carriera».

La delusione Milan a 16 anni e l'occasione mancata alla Torres. «Purtroppo un problema fisico mi limitò e i rossoneri decisero di non trattenermi. Fui vicinissimo a smettere dopo quella delusione. Con la Torres feci la preparazione in Serie C, avevo 22 anni, poi però decisero di non puntare su di me dicendomi che "non ero all’altezza di cambiarmi in uno spogliatoio di professionisti"».

Nel 2016 trascina l'Olbia in C e arriva la chiamata dello Spezia. «Inizialmente l’idea era quella di mandarmi in C e per me sarebbe già stato un upgrade, poi però durante il ritiro sono riuscito a convincere l’allenatore dell’epoca, Mimmo Di Carlo, e da lì posso dire di aver iniziato sul serio la mia carriera».

Due infortuni in un anno. «Nel marzo 2018 iniziai il mio calvario con la pubalgia, problema che ho risolto solo un anno dopo quando fui costretto a rimanere obbligatoriamente fermo per la rottura del legamento crociato del ginocchio».

Il grande sostegno dei tifosi. «A volte non mi spiego nemmeno io tutto questo affetto, forse apprezzano il mio attaccamento per questa maglia».

Il tecnico Vincenzo Italiano. «Il mister ha sempre continuato a martellarci, lui ha portato qualcosa di nuovo nel nostro gruppo. Anche negli allenamenti, tutti dettati al possesso palla, l’idea di comandare il gioco, di non far giocare gli avversari. Idee che non ha mai cambiato».

A metà ottobre a Pescara da ultimi della classe. «La gara della svolta. Perdevamo 1-0, poi siamo riusciti a ribaltarla. Alla fine di quella partita tanti miei compagni piangevano di gioia, perché per la prima volta avevamo ottenuto quanto meritavamo. Quegli schemi provati all’infinito iniziavano a diventare giocate automatiche. Mi ero rotto il ginocchio su quello stesso campo esattamente un anno prima e quel giorno sono tornato tra i convocati, in panchina».

Frosinone nel destino. «Giocai da titolare contro il Frosinone venti mesi dopo l’infortunio e poi li ho ritrovati nella finale playoff. I 17 minuti più lunghi della mia vita, interminabili. Ma poi che gioia…».

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2020/2021