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Michele Filippi, allenatore, Olbia
A Olbia anni intensi, valutati dall'esterno non correttamente

Michele Filippi è pronto al rientro: «Si migliora anche non allenando. Lanusei? Impressionato dai dirigenti ma niente accordo»

È giovane, preparato, con una doppia esperienza in Lega Pro alla guida dell’Olbia e ora ha una gran voglia di risedersi in panchina. Michele Filippi è stato nei pensieri del Latte Dolce quando i sassaresi si separarono da Udassi, è entrato nella lista del Carbonia dopo le dimissioni di Mariotti e, nell’ultima settimana, è stato fortemente inseguito dal Lanusei che, con il 40enne cagliaritano ex giovanili del Cagliari ed avversario dei biancorossoverdi con la Frassinetti nella finale di Supercoppa del 2015, intendeva ripartire dopo l’addio a Greco.

Ma con gli ogliastrini è, per il momento, un matrimonio che non s’ha da fare: «Ringrazio il Lanusei per aver pensato a me e sono stato contentissimo di aver conosciuto la dirigenza. Dall'incontro ho avuto una grandissima impressione, ho trovato uno spessore umano e una visione gestionale della società non comune. È stata una chiacchierata piacevolissima e lunga ma, solo alla fine, ci siamo accorti di quanto fosse durata. Dopo che sono stati esternati i reciproci pensieri sull'eventuale rapporto di collaborazione, abbiamo convenuto insieme non ci fossero ancora le condizioni per iniziare un percorso comune. Ma ci siamo lasciati in modo positivo e sereno, il che vuole dire che un domani non è escluso che le nostre strade possano rincrociarsi». 

 

Dopo la parentesi nei professionisti cosa sta cercando ora Filippi?

«Sono aperto a qualunque tipo progetto a prescindere dalla categoria. E non è per essere banali ma sono alla ricerca di una situazione che mi permetta di poter fare calcio nel modo migliore, ritrovare quelle caratteristiche ambientali e di società in cui penso di poter dare il meglio di me ed esprimere le mie qualità. Un contesto in cui sia posta la centralità della figura dell'allenatore, cosa che comunque ho avvertito si faccia nel Lanusei. Il calcio rappresenta la mia più grande passione, mi manca il campo, lo spogliatoio e l'adrenalina della competizione ma non ho la smania e la fretta di ributtarmi»

L'ultima volta in panchina risale al 17 novembre 2019, questa stagione ai box facendo cosa? 

«Tenendomi aggiornato su tutto, vedendo calcio in tutte le categorie, dalla serie A alla D. Dopo l'esonero a Olbia, tra l'altro, avevo iniziato anche a girare i centri sportivi di squadre di serie A e B, ero stato al Sassuolo e altre visite programmate sono poi saltate con lo scoppio della pandemia. Questo slancio formativo perdura tuttora attraverso lo studio e si è limitato all'analisi delle partite; un lavoro molto proficuo e, pur non stando in panchina, mi sento migliorato. Ritengo che anche un periodo di stop sia fondamentale, perché quando sei impegnato a fondo nella guida di una squadra non si è in grado di percepire le cose con quella consapevolezza e quell'occhio distaccato che si ha quando osservi le cose dall'esterno»

Cosa rimane dei quattro anni all'Olbia passati come vice di Mereu e Mignani e poi da allenatore della prima squadra? 

«Per me è stata un'esperienza strapositiva, 4 anni intensissimi in cui ho avuto la fortuna di compiere un percorso al fianco di persone di grande spessore e preparazione come Mauro Baldus, Nicolò Selis, Diego Mingioni e Luca Volpe, così come di altre figure che sono ancora in orbita Olbia. ma anche di aver conosciuto un tecnico come Bernardo Mereu col quale ho tuttora un grandissimo rapporto. I due anni da primo allenatore li giudico in modo positivo anche se, probabilmente, non sono stati stati valutati dall'esterno nel modo totalmente corretto. Un'annata va giudicata come si fa con un'opera artistica, perché un quadro viene valorizzato anche dalla cornice o dalla sua esposizione alla luce e, nella critica, si devono valutare anche gli strumenti utilizzati. Nel primo anno avevano probabilmente una delle squadra più giovani d'Europa con calciatori classe 2000 (Biancu, Pitzalis, Bellodi ndr), che corrisponderebbero agli attuali 2003, altri del '99 (Tetteh) e '98 (Pennigton e i portieri Crosta e Marson) e diversi classe 97 (Pinna, Cotali, Vallocchia, Ceter). Un campionato bellissimo che, se non ci fosse stata la parentesi di nove gare tra l'esonero e la richiamata, per la media punti che avevamo saremmo arrivati ai playoff. Quando sono tornato la squadra era penultima e abbiamo chiuso al 13° posto, che è il miglior piazzamento pari a quello di quest'anno, facendo 22 punti nel girone di ritorno senza tra l'altro giocare una partita che, in proiezione, farebbero 50 punti totali e in quell'anno per centrare i playoff ne bastavano 45 punti. Perciò dico che è stata una stagione molto più positiva di quanto è emerso all'esterno, visto che poi abbiamo piazzato 8 giocatori tra serie A e B. Il secondo anno è stato travagliato, non si è riusciti a concretizzare alcune idee di mercato, non nascosi il fatto che la rosa potesse avere delle difficoltà ma che la partenza bellissima - con le vittorie contro il Rieti in Coppa Italia e le prime due di campionato a Siena e contro la Giana - aveva annacquato. Alla chiusura di mercato, non dormii ed ero pronto a dimettermi. Ma prevalse il senso di gratitudine verso chi mi aveva dato l'opportunità di allenare l'Olbia sulla preoccupazione delle fragilità che potevano emergere come spesso accade in seguito ad una sconfitta; prevalse il valore del rispetto verso i ragazzi e la voglia di trasmettere loro che non si molla mai; e prevalse, lo ammetto, anche un pizzico di presunzione perché avevo l'idea di poter fare qualunque cosa e di migliorare la squadra anche con le difficoltà tecniche. È una scelta che rifarei anche a posteriori, perché penso che certi valori morali e principi di lealtà debbano essere prioritari e non barattabili con l'ambizione personale o con un risultato sportivo. I fatti dicono tuttavia che, dopo il mio esonero, arrivò in attacco Cocco, a gennaio furono inseriti Aresti, Giandonato e Altare, giocatori di assoluto valore. Se prendi 4 giocatori di quello spessore forse la mia valutazione iniziale non era così assurda. E, nonostante tutto, ci furono grandissime difficoltà a salvarsi se non all'ultimo secondo della gara di ritorno dei playout»

Avendo seguito la stagione di serie D che giudizio dare al plotone delle squadre sarde?

«È stata un'annata estremamente complicata e il bicchier va visto mezzo pieno. Non aver avuto nessuna retrocessione è un valore aggiunto e un premio al lavoro delle società sarde. Mi sono spesso messo nei panni dei miei colleghi, alle prese con le formazioni decise dai tamponi e non da quello che uno vede in settimana, dai continui rinvii, stop di settimane e ripartenze. Un plauso va ai tecnici e alle società che hanno saputo gestire tanti momenti molto delicati. Poi qualcosina in più da alcune squadre poteva essere ottenuto ma, molto spesso, le valutazioni fatte a tavolino non coincidono con i dati del campo. Diciamo che è stata un'opportunità di crescita per tutti, il tempo non è mai perso e il percorso per alcune squadre ambiziose può essersi solo apparentemente interrotto. D'altronde, lo stesso Monterosi ci ha messo 4 anni per vincere»

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2020/2021