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Ruggeri, la retrocessione è indigesta: «Fa male vedere il Tortolì in Promozione»
«Colpa di tutti ma al completo valevamo i playoff»

Ruggeri, la retrocessione è indigesta: «Fa male vedere il Tortolì in Promozione»

Il suo spirito animalesco e combattivo si è dovuto arrendere di fronte alle difficoltà vissute nella stagione appena conclusa. Per la prima volta da quando gioca, Nicola Ruggeri, 35 anni, selargino doc, incappa nella prima retrocessione di una carriera sempre vissuta tra squadre di vertice. Nonostante una carta d’identità ormai ingiallita, Nick non pensa minimamente al ritiro ed anzi, rilancia. Potrebbe, qualora ci fossero i presupposti giusti, ripartire anche da dove ha terminato e cioè dal Tortolì. A lui non va giù la retrocessione e, ritenendo Tortolì una delle piazze più prestigiose del calcio sardo, non gli dispiacerebbe un altro anno in Ogliastra dove prenderebbe per mano la squadra con un solo obiettivo: riconquistare l’Eccellenza. Oltre che della sfortunata stagione rossoblù, in quest’intervista ha voluto ricordare anche alcune “perle” del suo importante passato.

Nicola Ruggeri, in 21 anni di carriera non era mai retrocesso

 

Nicola, dopo una carriera importante, a 35 anni hai assaggiato il gusto della prima retrocessione

«Retrogusto amarissimo, devo essere sincero. Nel corso della mia lunga carriera, non avevo mai vissuto questa tremenda esperienza. Ebbene, a 35 anni, dopo una vita trascorsa sui campi di categorie superiori, non pensavo assolutamente di dover imbattermi nell’ebbrezza della retrocessione. Certo, a livello professionale non è il massimo, ma anche i risultati negativi fanno parte del calcio e ti permettono di crescere. Purtroppo, tutti i sacrifici fatti nel corso di quest’annata, non hanno pagato»

Spiegaci meglio questa tua ultima considerazione

«Fare 300 chilometri al giorno, per cinque volte alla settimana, posso garantire che non è facile. Per me che vivo a Budoni, percorrere la strada per Tortolì fra acqua, neve e animali selvatici in mezzo alla carreggiata, non è stata affatto una passeggiata. Quando esci di casa alle 13 e rientri alle 23 e vedi svanire tutti i sacrifici, ci resti davvero male. Ma ci tengo a precisare che tutti questi sacrifici li ho affrontati col cuore, perché volevo conquistare l’obiettivo che ci siamo prefissati negli ultimi mesi di campionato, ovvero la salvezza, quando ormai diverse situazioni ci avevano costretto nei quartieri bassi della classifica»

A metà stagione, però, ti sei trovato sull’orlo di abbandonare la squadra

«Ho attraversato momenti difficili, non lo nego, in particolare nel mese di dicembre, dove tante situazioni mi avevano indotto a rinunciare al proseguimento dell’avventura in Ogliastra. Ero arrivato a non riconoscermi più, tanto il nervoso stava prendendo il sopravvento sulla mia condotta abituale. La sera, quando rientravo a casa, non avevo più voglia di parlare con mia moglie e mia figlia ed a tratti ero anche scontroso con loro. Decisi di fermarmi e poi, grazie anche al supporto di mia moglie, che pubblicamente ringrazio, decisi di tornare sui miei passi. Nonostante ci fossero diverse squadre interessate, optai per continuare l’avventura a Tortolì. In 21 anni di carriera, infatti, non ho mai cambiato squadra a dicembre»

Dopo la partita persa col Porto Corallo, quante volte ti sei chiesto il motivo della vostra retrocessione?

«Credimi, ci penso in continuazione. Le cause di una sconfitta, in questo caso la retrocessione, sono molteplici ed impossibile trovare un unico responsabile. Le colpe sono da dividere tra tutte le componenti del club, dal presidente al magazziniere, passando per l’allenatore e tutti i giocatori. Trovare una motivazione non è semplice, anche se francamente credo si sia retrocessi nell’organizzazione. Già da quando sono arrivato a Tortolì (la prima partita di Ruggeri in maglia rossoblù è stata contro l’Olbia, il 19 settembre 2010, ndr), ho avuto il sentore che qualcosa non andasse per il meglio nell’ambiente attorno alla squadra. Quando venivo a Tortolì da avversario, il “Fra Locci” era sempre esaurito o quasi e tra di me pensavo quanto sarebbe stato affascinante giocarci ogni domenica. Vedere, invece, 60 persone sulle tribune come accaduto quest’anno, ad eccezione degli spareggi, è stato veramente molto triste. Senza pensare, poi, che quello sparuto gruppetto era formato principalmente dai genitori dei ragazzi di casa e dalle fidanzate, mi fa riflettere parecchio. Qualcosa, insomma, non andava, anche se da estraneo non posso capire esattamente cosa»

Generalmente, quando accadono queste situazioni, c’è un disamoramento nei confronti della squadra o della società

«Mi sento di escludere che i tifosi avessero qualcosa contro noi giocatori, anche perché ritengo che tutti abbiamo dato il 110 per centro fino all’ultima gara, seppur tra una miriade di difficoltà. Personalmente, ho giocato le ultime tre gare grazie al supporto di infiltrazioni, a causa di una sospetta lesione ai legamenti della caviglia destra, dovuta ad uno scontro con un avversario durante lo spareggio di Castiadas col Samassi. Se sono riuscito a scendere in campo, lo devo solo al mio fisioterapista personale, Fabrizio Frediani. Daniele Corsi, che purtroppo è stato contestato da qualche sostenitore nella gara contro la Dorgalese, talvolta è sceso in campo con il ginocchio in condizioni pessime, ma anch’egli ha stretto i denti per il bene della squadra. Per quanto riguarda, invece, le presunte antipatie nei confronti della società, non spetta a me dirlo. Personalmente, con il presidente Pierpaolo Cualbu, mi sono scontrato diverse volte durante l’anno, ma lo reputo un bravissimo ragazzo. Se talvolta ha commesso degli errori, lo ha fatto a causa dell’inesperienza e della troppa sicurezza nei suoi mezzi, ma sotto sotto, credo abbia un’indole buona. Il presidente ha una grande volontà, ma se in corso d’opera subentrano problemi insormontabili, a mio parere è giusto che vengano informati tutti i giocatori, in modo tale che tutti possano prendere le decisioni che reputano più opportune. D’altronde, i conigli che volano non esistono e, purtroppo, oggi il calcio è malato dappertutto»

Ma come può retrocedere una squadra che annovera giocatori come te, Corsi, Porceddu, Cadeddu, Melis e via dicendo?

«Hai ragione, è proprio strano. Quando sono arrivato io, della squadra facevano parte anche Arrais, Nardò, Mura e soprattutto Romeo Ferreli. Quello era un gruppo che poteva tranquillamente accedere ai playoff. Poi, però, come noto, tutti questi giocatori hanno via via abbandonato la squadra e ciò ha fatto sì che a Villaputzu, ad esempio, ci presentassimo con ragazzi del ’96 in panchina. Una situazione assurda per l’Eccellenza. Un vero peccato che Tortolì abbia perso l’Eccellenza, anche perché ho sempre reputato il club rossoblù uno dei più importanti di tutto il panorama calcistico regionale. Fa male, veramente male»

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Quali, secondo te, le responsabilità del tecnico Pino Murgia?

«Come ho già detto, le responsabilità del fallimento è da dividere tra tutte le componenti. Io credo che il mister sia stato bravissimo a dover sopportare situazioni difficilissime che non hanno nulla a che vedere col calcio. A mio parere, mister Murgia è un allenatore serio e preparato e, visto il contesto in cui ha lavorato, c’è solo da fargli un plauso»

Per quanto tempo pensi di portarti dietro questa delusione?

«Questo è l’unico neo della mia carriera e, credimi, non mi do pace. Il pensiero di aver fatto parte del Tortolì che è retrocesso in Promozione dopo otto anni di Eccellenza, mi fa star male»

Potresti, qualora ci fosse un progetto serio per la prossima stagione, rivestire la casacca rossoblù?

«E perché no. Chiaro, però, che dovrà esserci un progetto importante, attorno al quale io possa vedere la massima stabilità. Prima di accettare, dovrei vedere il cemento armato, la tettoia e le porte, non castelli di sabbia. Se dovessero esserci le condizioni ideali, non esiterei a restare al Tortolì, per riportarlo nella categoria che più gli compete, ovvero la serie A del calcio regionale. I tifosi tortoliesi vogliono bene alla propria squadra e quest’anno ho addirittura visto alcune donne in lacrime per il momento delicato: è accaduto a Gavoi, subito dopo la partita che ci ha condannato ai playout. Non ricordo di aver visto un episodio simile da nessun’altra parte. Che una squadra che rappresenta una piazza così importante abbia perso l’Eccellenza, mi dispiace tantissimo. Lo dico col cuore in mano»

Dopo questa cocente delusione, come sarà il futuro calcistico di Nicola Ruggeri?

«Dopo tutte le sofferenze vissute quest’anno, potrei giocare per altri dieci anni (ride, ndr). Fortunatamente, il mio dna è da combattente e perciò ripartirò con uno spirito rinnovato e deciso»

Per concludere Nicola, raccontaci qualche episodio della tua carriera che ti ha visto protagonista con questo tuo famoso spirito battagliero

«Se oggi ho determinate caratteristiche, che tutti conoscono, lo devo principalmente a Bernardo Mereu, che per me rappresenta un secondo padre. L’unico allenatore che ha saputo caricarmi in modo impeccabile, tanto da farmi salire il sangue agli occhi al momento dell’ingresso in campo. Per raccontare un simpaticissimo siparietto dei tempi belli a Villacidro, il mister, pur di scatenare sempre più il mio istinto animalesco, calciava con forza undici palloni in porta, uno dopo l’altro, dal limite dell’area e io dovevo pararli di testa. Così, giorno dopo giorno, si è formato il mio dna. Certo, qualche anno fa ero un cavallo pazzo che, talvolta, faceva anche danni, come quando spaccai con una gomitata volontaria il sopracciglio a Gianluca Comotto, attuale difensore della Fiorentina, in un Selargius-Biellese di serie D. Ero anche quel giocatore a cui i dirigenti del Selargius avevano proposto 50 mila lire per ogni partita terminata senza ammonizioni o espulsioni. Era il periodo che giocavo una gara e ne saltavo tre con perfetta regolarità. Ci tengo a precisare, però, che non ho mai sminuito o ridicolizzato l’avversario come ha fatto Christian Viani (vedi foto sotto) nella partita che ha sancito la retrocessione del Tortolì. Il Porto Corallo vinceva 4-2 e ormai cavalcava sulle ali dell’entusiasmo, quando l’argentino ha inscenato dribbling e contro dribbling, giocate di fino e quant’altro, prendendoci quasi per i fondelli. Non ci ho visto più e giuro che se Marco Cossu (allenatore del Porto Corallo, ndr), che tra l’altro mi conosce bene, non lo avesse sostituito, gli avrei fatto un’entrata durissima, in modo che capisse la lezione. Avrei rischiato dieci giornate, ma odio questi atteggiamenti»

Roberto Secci

La "rabona" di Viani che ha fatto infuriare Ruggeri nella gara Porto Corallo-Tortolì 4-2

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2010/2011
Tags:
Sardegna
Intervista