Il portiere racconta un anno passato in trincea
Corsi contro la società: «A Tortolì sono successe cose mai viste nel calcio, ora parlo io»
La retrocessione fa male perché ogni giocatore tiene al proprio curriculum professionale. Le critiche, poi, vanno e vengono perché non si può piacere a tutti indistintamente ma Daniele Corsi, portiere con un passato nel calcio professionistico (Cagliari, Aquila, Igea Virtus, Pistoiese) e in alcune delle migliori squadre dilettantistiche della Sardegna (Alghero, Budoni e San Teodoro), è un giocatore profondamente deluso più da come la società Tortolì ha gestito l’intera stagione che dal risultato sportivo in sé che ha condannato gli ogliastrini al ritorno in Promozione dopo 8 campionati di Eccellenza. Promesse non mantenute, compagni di squadra andati via a più riprese, rimborsi spese a singhiozzo, una evidente disorganizzazione combattuta dall’interno dello spogliatoio in difesa dei compagni più giovani e meno tutelati per chi come Corsi è anche collaboratore regionale dell'AIC (Associazione Italiana Calciatori). Il 31enne romano, ma sardo d’adozione, è un fiume in piena e nell’intervista-denuncia mette il dito nella piaga di un aspetto del calcio dilettantistico malato, quanto o forse più di quello professionistico.
Allora Daniele, durante la stagione giocatori e tecnici cercano sempre di nascondere certi problemi ma ora si può dire secondo te da cosa è dipesa principalmente la retrocessione del Tortolì?
«Diciamo che la situazione era già “incasinata” dall'anno prima con ex giocatori che, ad oggi, devono prendere ancora dei rimborsi. Ma il vero declino c'è stato dopo novembre con compagni di squadra che iniziavano ad andare via, per poi proseguire sempre peggio in cose mai viste in tanti anni di calcio: ad iniziare dalle cambiali a garanzia di pagamenti a chissà quando incassarle; oppure gli ultimi tre mesi senza massaggiatore-giocatore e senza acqua al campo con noi che viaggiavamo da Nuoro a prender le borracce da riempire alla fonte di Villagrande; promesse mai mantenute, rimborsi mai visti da parte di chi si era impegnato a portarmeli fino a casa, per poi sentirmi dire che ero un ingrato e che, mentre contavo i soldi, dovevo ricordarmi di guardare la classifica. Come ho già detto un’altra volta se ci fossimo salvati sarebbe stato un miracolo. Questa è la situazione del Tortolì che, in alcune trasferte come Cala Gonone (finale di Coppa Italia, ndr), Gavoi e San Teodoro, non ha pagato neanche il conto del pranzo o del pernottamento»
Ma probabilmente sarà stato saldato tutto successivamente
«Mi sono informato io personalmente, stanno aspettando ancora i pagamenti ed è per questo che, a nome della squadra, chiedo scusa a ristoratori e albergatori»
Ti ha ferito di più la retrocessione come risultato sportivo o le accuse che hai ricevuto e cioè che sei un mercenario o che hai causato la sconfitta di San Teodoro?
«Certamente la retrocessione come risultato sportivo, perché quella rimane nel curriculum di un giocatore. Invece, le accuse ricevute lasciano il tempo che trovano, l'errore tecnico ho ammesso che c'è stato l'importante però è avere la coscienza pulita ed io sono tranquillo. Ricordo anche che 5’ prima della partita dei playout col San Teodoro, un mio carissimo amico, proprietario dell'agriturismo dove la squadra aveva mangiato, mi ha avvisato da dietro la rete di recinzione che il Tortolì non aveva pagato il conto. Lascio immaginare la tranquillità prima di una partita delicata come quella a cui tenevo moltissimo»
LA SECONDA PARTE DELL'INTERVISTA A PAG 2
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Secondo te nel calcio dilettantistico i calciatori vengono pagati troppo?
«Non riesco a capire perché la colpa sia sempre dei giocatori che guadagnano troppo quando la firma c'è dopo una trattativa. Sono sempre le società di calcio che cambiano in corso gli accordi sui rimborsi pattuiti, sono loro che hanno anche la possibilità di svincolarci mentre noi giocatori non abbiamo la possibilità di andare via senza il loro consenso. Negli ultimi anni ho sempre sentito le solite scuse: “Il Comune non paga il contributo”; “Gli sponsor non pagano e siamo rimasti soli a portare avanti la società”; “Dovevo vendere il mondo e non mi rientrano i soldi ma, tempo qualche giorno, e sistemo tutto”. E intanto i giorni passano. C’è da dire che Comune e sponsor al momento della firma non esistono, noi giocatori parliamo sempre con il presidente o, al massimo, col direttore sportivo ma poi alla fine entrano sempre in gioco queste scuse immaginarie»
Chi ti ha deluso maggiormente a Tortolì e perché?
«Sicuramente quelle persone che ad agosto scorso promettevano vendite e incassi super per sostenere l'anno calcistico, il tutto svanito in mille falsità e sempre per colpa degli altri. Mai nessuno che si assuma le proprie responsabilità dicendo: "Non sono in grado di andare avanti»
Ma, viste le prime difficoltà, non potevi chiedere alla società di cambiare squadra?
«Certo. Infatti, a dicembre, dopo aver ricevuto un'offerta dall'Arzachena, sono andato a parlare con la società per dire che se non erano in grado di andare avanti e mantenere l'impegni iniziali io sarei andato via in modo da alleggerire il budget, con la premessa che le mie intenzioni erano comunque quelle di rimanere a Tortoli visto che a me non piace abbandonare la squadra a metà strada. Mi è stato risposto che avevano la situazione sotto controllo e che a gennaio saldavano tutte le pendenze. Probabilmente non ho capito bene gennaio di quale anno»
Tu che sei un collaboratore regionale dell'A.I.C. quale contributo puoi dare per rafforzare le tutele di voi giocatori?
«Il 27 giugno avremo un'incontro a Vicenza per discutere di tutte le problematiche legate al mondo dei dilettanti. Combatterò per dare un segnale forte in modo che vengano tutelati i diritti del giocatore. In questo periodo ricevo molte chiamate di colleghi che chiedono come devono o possono recuperare i rimborsi spese mai ricevuti. La colpa è anche nostra perché ogni anno invito ad iscriversi all'associazione, la tessera costa 5 euro ma nessuno vuole farla, poi però si rivolgono a me anche per questioni legate allo svincolo. Perciò faccio un appello ai miei colleghi per iscriversi perché quest'anno, su 5000 tesserati, solo 100 giocatori dall'Eccellenza alla Terza categoria si sono iscritti, e più siamo e più potere avremo»
Di quale persona o compagno invece hai stima o l'hai conservata perché già lo conoscevi?
«Ho avuto un buonissimo rapporto con tutti i miei compagni di squadra e spero di aver lasciato in loro un buon ricordo sotto il punto di vista umano; poi è chiaro che con qualcuno si va più d'accordo che con altri. In ogni caso, la squadra può confermarlo, ho sempre litigato e messo in dubbio tutte le promesse che ci venivano fatte da parte della società per mancanza di serietà e di affidabilità anche se, per quanto mi riguarda, fino a metà marzo almeno con me erano quasi riusciti a mantenere gli impegni. Volevo però che la squadra fosse tranquilla perché non si vince o perde da soli, il calcio è uno sport di squadra»
LA TERZA PARTE DELL'INTERVISTA A PAG 3
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Il Tortolì è sempre stato seguito con passione come ti spieghi l'assenza del pubblico che non può dipendere solo dai risultati visto che c'erano pochi tifosi per la finale di Coppa e negli spareggi?
«Infatti, quando scelsi Tortolì, immaginavo di trovare quel tifo e quell'atmosfera che l'ha sempre contraddistinta in Eccellenza ma penso che la gente si sia allontanata proprio perché conosce bene chi è a capo della società»
Il Tortolì può tornare subito in Eccellenza?
«Lo spero, ma se rimangono certe persone a dirigere la società forse sarebbe meglio non iscriverla anche se per l'Ogliastra sarebbe una perdita»
Il tuo compagno, Alex Podda, ha 18 anni e ha tante richieste, come lo giudichi dal punto di vista tecnico, tattico e umano?
«Alex è un ottimo giocatore sotto tutti i punti di vista, che può far bene in serie D. La speranza per lui, e per altri buoni giocatori come Ferreli, Murgia, Carta e Cadeddu, è che il presidente (Pierpaolo Cualbu, ndr) non pensi di risollevare l'economia delle casse societarie con la loro vendita a prezzi eccessivi perché la conseguenza sarebbe quella di far passare a un giovane la voglia di giocare e non dargli la possibilità di misurarsi con altre realtà calcistiche»
L'anno scorso a Villasimius e ora Tortolì, di sicuro nelle due retrocessioni c'è poco di tuo ma non pensi di meritare ancora una piazza ambiziosa che lotti per le alte sfere?
«La due retrocessione non sono paragonabili. A Villasimius ho avuto un bellissimo rapporto con tutti che mantengo ancora oggi, è stata una stagione di rimedio visto che a gennaio ancora non avevo avuto offerte valide dopo il benservito ricevuto dal San Teodoro. A Tortolì ho giocato più di 40 partite e quindi sono causa della retrocessione, poi se merito ben altre piazze questo è da vedere, è sempre il campo che parla mentre le parole le porta via il vento»
A chi pensa invece che tu sia un giocatore finito oppure con pochi stimoli cosa rispondi?
«Che ora non abbia stimoli è vero perché certa gente ti fa passare la voglia di giocare, magari tornerà assieme a qualche proposta di squadre con ambizioni e progetti seri, che trattano non con soldi virtuali, tipo monopoli, e che mantengano gli accordi iniziali attraverso rapporti da uomo a uomo»
Daniele, perché ti sei sentito di dire tutto ciò che hai detto nell’intervista?
«Perché dopo tantissimi anni di calcio, quella vissuta a Tortolì penso sia stata la peggiore finora proprio dal punto di vista umano. Io sono arrivato quasi alla fine della carriera quindi posso finalmente dire quello che penso ed è una realtà che tanti colleghi non denunciano perché rimanere in buoni rapporti con le società può far sperare prima o poi di prendere i rimborsi mancati»
Fabio Salis