«Dalla leucemia si può guarire»
Pattada, Gian Mario Manca racconta la sua partita più difficile: «Per vincere serve coraggio e speranza»
Per Gian Mario Manca quella contro la leucemia è stata sicuramente la battaglia più importante della sua vita; al momento è importante invece riuscire a testimoniare il più possibile la sua vittoria, proprio come avvenne in occasione della sua ultima intervista pubblicata sulle nostre pagine: all'epoca ci eravamo lasciati con una promessa, ovvero quella di tornare a parlare di un argomento molto più serio rispetto a quelli trattati solitamente, e così è stato.
Manca è assolutamente convinto che le parole e i racconti di chi ce l'ha fatta possono risultare fondamentali per chi ancora quella lotta la sta ancora combattendo; una sfida in cui speranza e coraggio rappresentano le armi migliori a disposizione; noi, nel nostro piccolo, siamo molto lieti di concedergli il nostro spazio.
«Dopo la guarigione ho sempre cercato di supportare il lavoro dell'Ail, l'Associazione Italiana contro le Leucemie, partecipando a tutte le loro iniziative, tra cui quelle promosse a Nuoro anche dai medici della divisione di ematologia.
Mi ha sempre fatto piacere – continua il tecnico del Pattada - discutere, anche durante i dibattiti, su quali potessero essere le problematiche incontrate dai pazienti; ho avuto la possibilità di entrare in contatto telefonico con alcuni di loro, ricoverati tra l'altro al centro trapianti a Firenze, dove io stesso sono stato: sapevo che raccontare la mia storia sarebbe potuto essere un grandissimo aiuto, non tanto per le parole che usavo, quanto per il fatto che ero riuscito a lasciarmi alle spalle la malattia.
Anche per me, all'epoca, è stato fondamentale parlare con delle persone che avevano superato i loro problemi: rappresentava uno stimolo in più per continuare a lottare, per avere una speranza.
Mi sento quindi in dovere di offrire una testimonianza forte, fisica, a quelle persone che si trovavano in difficoltà; probabilmente il fatto di aver vissuto quei bruttissimi momenti in prima persona mi permette di trovare le parole più adatte per cercare di risollevare il morale di qualcuno che è particolarmente depresso e ha magari maggiore necessità di essere confortato e rassicurato, considerando poi che le terapie sono molto pesanti.
Ti senti in dovere di aiutare gli altri perchè, nella sfortuna della malattia, hai trovato anche la fortuna di essere guarito; era un gesto di riconoscenza anche nei confronti dei medici, che spesso vivono in maniera drammatica la condizione dei propri pazienti, soffrendo per le sconfitte ma gioendo allo stesso tempo per i successi.
Si crea veramente un rapporto intensissimo con i dottori: quando è nato il mio secondo figlio, nel '98, ho mandato immediatamente una foto con dedica sia al centro trapianti di Firenze e sia all'ospedale di Nuoro, perchè sapevo che quella foto per loro sarebbe stato uno stimolo ad andare avanti.
Personalmente, cerco di raccontare sempre la mia esperienza, così come sto facendo con voi, perchè so quanto può essere importante parlare di una partita così difficile, anche se ha ben poco da spartire con quelle che abitualmente si disputano la domenica: la speranza è fondamentale, e riuscire a trasmetterla è un'opera in cui dovremmo essere tutti coinvolti».
Nel lento cammino verso la guarigione di Manca è stato fondamentale lo sport e in particolar modo il calcio.
«Il calcio ha ricoperto un ruolo importante per me: è stato mio padrino a convincermi a continuare con questo sport, perchè sapeva quanto ci tenessi e aveva capito che mi avrebbe potuto aiutare tantissimo.
Sono stato il capitano della mia squadra per molti anni, ho avuto il supporto e la solidarietà di tantissimi amici conosciuti sul campo, ma in particolar modo quello di mia figlia, che all'epoca aveva due anni, e di tutta la mia famiglia; durante la malattia non mi son mai sentito solo.
Proprio la grandissima voglia di veder crescere mia figlia mi ha dato la forza per non arrendermi; è stata essenziale la bravura dei medici, oltre che un pizzico di fortuna: tutto ha contribuito affinchè le cose si risolvessero per il meglio».
L'allenatore ripercorre con la mente i giorni in cui ha scoperto la malattia, ma rilancia il suo messaggio positivo.
«La vita cambia all'improvviso: mi ricordo di quel sette ottobre in cui saltai l'allenamento a causa di un'emorragia, il giorno dopo ero catapultato bruscamente in un altra realtà, fra esami e flebo.
Il messaggio che non mi stancherò mai di lanciare è che di leucemia si può guarire: ci sono personaggi famosi che mettono a disposizione la loro immagine per uno sponsor, io ho deciso di mettere a disposizione semplicemente la mia storia per aiutare gli altri.
Sono passati ormai 20 anni dal giorno in cui feci il trapianto di midollo, ma il ricordo, l'affetto nei confronti dei medici e la solidarietà verso i pazienti è ancora molto intenso».
Il percorso verso la guarigione è una questione di motivazioni, proprio come nello sport
«Ho avuto la fortuna di essere riuscito ad affrontare quel periodo con grande serenità, grazie soprattutto all'aiuto che ho ricevuto dagli altri; le motivazioni le ricevevo, piuttosto che darle, anche se la mia facilità di dialogo mi permette di instaurare in poco tempo dei rapporti profondi e posso così tentare di incoraggiare chi ne ha bisogno».
Un'esperienza profonda come quella raccontata da mister Manca non può che stravolgere completamente tutto il piano di valori e di credenze che si hanno in precedenza.
«Spesso ci capita di affliggerci per delle cose che sono piuttosto banali; nel momento in cui vivi una certa esperienza e la superi, come è capitato a me, le tue valutazioni cambiano necessariamente, come i rapporti interpersonali.
Quello che ho imparato io, e che cerco di trasmettere anche ai miei ragazzi, è l'importanza del lavoro di gruppo: ho avuto la fortuna di essere curato da un equipe di medici che non trascurava nessun dettaglio.
La squadra è come un mosaico, in cui ognuno ha il suo spazio: l'importante è il collettivo, e non i risultati personali; l'umiltà è alla base di qualsiasi cosa, è importante saper gestire le sconfitte e non abbattersi mai, sono insegnamenti di vita che mi porto dietro e cerco di applicare tutti i giorni, anche nel calcio.
Quando si gestisce un gruppo, come nel mio caso, si è un educatore: sento un po' il dovere di svolgere questo compito al meglio, con la speranza di riuscire a trasmettere dei valori positivi, al di la degli aspetti tecnici.
Spero che i ragazzi si ricordino di me principalmente come uomo, e non soltanto come allenatore; è un principio fondamentale, anche nelle categorie inferiori».
Un messaggio di speranza, rivolto a tutti coloro che attraversano un momento difficile.
«E' difficile lanciare un messaggio che vada bene per tutti, perchè ciascuno di noi reagisce alla malattia in maniera diversa.
Io son stato fortunato ad avere una famiglia e tantissimi amici che mi hanno sostenuto, ho incontrato persone che erano sole nella malattia, penso sia la cosa più brutta.
E' fondamentale, al contrario, avere fiducia e speranza, considerando che la scienza medica in questo senso sta facendo passi da gigante, e aggrapparsi nel vero senso del termine a quelle che sono le motivazioni che ognuno ha, le cose in cui si crede, i propri desideri, i propri sogni.
Una dedica speciale va a tutti coloro che ho incontrato e conosciuto in questi anni».